mercoledì 8 giugno 2011

Bozza #2 - 'Il padiglione d'oro'*

Gli orientali tendono, spesso, a non lasciare che le emozioni oltrepassino eccessivamente la soglia delle parole nella poesia; essi sono degli osservatori della natura e attraverso di essa si esprimono (almeno per ciò che ho appreso nella mia piccola esperienza da lettrice) senza aggiungere quel tanto di oltre che ne incrinerebbe la stabilità formale. Eppure è un popolo ricchissimo di interiorità, un'interiorità talmente grande da essere quasi mai apertamente manifesta.

K.Hokusai, Tramonto attraverso il ponte di Ryogoku,
Trentasei vedute del monte Fuji- n° 12, 1831-33

Ciò è appurabile anche nell'Arte, almeno quella del periodo pre-contemporaneo, quando lo spirito giapponese, nello specifico, era maggiormente solido e non frantumato dalla crisi d'identità che lo ha investito subito dopo la seconda guerra mondiale.
Per il Giappone aver perso la stabilità, aver perso l'onore nazionale per il non essere riuscito a difendere la propria identità, è stato causa di un profondo trauma che lo rende, adesso, una nazione intrisa di contraddizioni, almeno apparentemente. In realtà, credo che non sia mutato di molto il sistema di valori della civiltà giapponese, bensì si sia traumaticamente spostato di segno: dal senso dell'onore in battaglia, dell'obbedienza al signore a quello della devozione per l'azienda, per il capo ufficio, per la produzione a ritmi esorbitanti ed estenuanti.

Tetsuya Ishida, Control, 2004-07

Questo, nell'Arte, ha provocato il passaggio da Hokusai ad Ishida, dal lirismo etereo dell'Ukiyo-e ad una realtà violenta e brutale, pervasa da una tecnologia che ingloba gli individui, li inghiotte fino ad annientarne l'identità.
Ishida è stato una scoperta angosciante, nelle sue opere traspare il dramma di un uomo che non riesce a relazionarsi con il sistema che lo circonda, che lo opprime fino a condurlo al suicidio. Destino simile, quello di un altro grande protagonista del Giappone contemporaneo che già più di una volta ho citato: Yukio Mishima.
Mishima, però, nella sua attività da scrittore non rinuncia a quella compostezza formale tipica della cultura nipponica pre-conflitto mondiale, mostra il suo malessere sociale con scritti che hanno il sapore del disdegno e del rifiuto degni di un guerriero, lontanti dalla terribile umanità del più recente Ishida.

Yukio Mishima

I suoi protagonisti vivono di una particolare forza interiore che spesso risiede nell'alterità degli stessi rispetto al contesto in cui si muovono, come se fossero degli 'spiriti eletti', nati con un segno di Caino in fronte che li costringe, di volta in volta, a confrontarsi problematicamente con la realtà.
D'altronde, Mishima stesso conserva in sé tutta la sensibilità di una nazione sconvolta dal cambiamento e dalla sottomissione, sensibilità che però non vuole arrendersi culminando, così, nell'atto di massima negazione all'esistenza: il suicidio d'onore, il quale, probabilmente, nasconde le stesse fratture interiori che si respirano a fatica nell'opera di Ishida.

Alexis[A.H.V.]
©Immagini dal web

(*): ho scelto questo titolo, tratto da un romanzo di Mishima 'in lettura', perché l'ho trovato particolarmente rappresentativo rispetto alle riflessioni sulla civiltà giapponese espresse nel post. :)

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